venerdì 7 ottobre 2011

Grazia



Avanzo con passo incerto,
traballante un po’
per l’enorme peso
da sempre trascinato
come l’anima spezzata.
Passo accanto alle persone
occhi vuoti, assenti
nel rincorrere inutili sogni,
fantasmi del passato.
Papà, mamma, dove siete?
io non sono, non sono più,
c’è il mio ingombrante guscio,
il cappellino fucsia,
a coprire il crespo
di indomabili capelli,
il rossetto in tinta,
sbavato un po'
tanto più rosso
quanto più infelice il mio nuovo giorno
che si apre con una me stonata,
lucida quel tanto per capire
il baratro in cui sono  sprofondata,
folle quel tanto per diradare
le devastanti voci
in tutta la loro
inconsapevole ferocia.
E intanto presento al mondo
il mio enorme corpo
il mio grande  viso
gli occhi, a nascondere lacrime  
ormai prosciugate.
E questo tic
costante, ossessivo, impietoso
a cancellare ogni residuo di dignità.
E così vado,
vado incontro al mondo
che non mi incontra
ma mi deride
per quelle calze smagliate
lungo gambe affaticate,
quelle scarpe dal cuoio incrudito
dalle troppe camminate,
quelle vesti sgargianti
casualmente abbinate.
E io cammino
mani incrociate sulla schiena
a equilibrare il peso del mio corpo
la mia anima
spenta, illeggibile, confusa
percepita nei brevi sprazzi di lucidità
è lì che libra,
nell’immenso cielo della libertà.

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